Pemfigo paraneoplastico

Cosa è il pemfigo paraneoplastico e chi colpisce

 

Il pemfigo paraneoplastico è una malattia bollosa autoimmune della pelle generalmente associata a neoplasie quali le malattie linfoproliferative: il linfoma non-Hodgkin che è la neoplasia più comune (38,6%), seguita dalla leucemia linfocitica cronica (18,4%), la malattia di Castleman (18,4%), il timoma (5,5%), la macroglobulinemia di Waldenstrom (1,2%), il linfoma di Hodgkin (0,6%) e la gammopatia monoclonale (0,6%) (Sehgal and Srivastava, 2009; Czernik et al, 2011). Inoltre sono stati descritti in associazione i carcinomi da cellule epiteliali (8,6%) (Wong et al, 2000) e i sarcomi da linee mesenchimali (6,2%) (Su et al, 2015). Mostra un tasso di mortalità fino al 90% e la sua diagnosi precoce non è semplice, motivo per cui, seppur rara, è considerata la forma più grave di pemfigo (Sinha, 2015).


Dati specifici riguardanti l'incidenza non sono disponibili ma in letteratura sono stati riportati circa 500 casi (Vassileva et al, 2014). Solitamente si presenta in pazienti di età compresa tra 45 e 70 anni ma può colpire anche bambini e adolescenti (Mimouni et al, 2002). In particolare, in questo sottogruppo di pazienti, il pemfigo paraneoplastico è associato più frequentemente alla malattia di Castleman e a disturbi ematologici maligni. Non sono state osservate differenze di incidenza significative tra maschio e femmina (Sehgal and Srivastava, 2009). 

 

Sintomi e caratteristiche cliniche del pemfigo paraneoplastico

 

Le caratteristiche cliniche del pemfigo paraneoplastico sono estremamente polimorfe e le lesioni possono essere rilevate sulla pelle e su diverse mucose.


La malattia di solito esordisce con bolle nella mucosa orale, erosioni ed ulcerazioni diffuse e molto dolorose; frequenti sono le stomatiti (Bialy-Golan, 1996). Altre mucose colpite includono quella naso-faringea, esofagea e ano-genitale: è spesso evidente un’erosione ben demarcata con ipercheratosi ed eritema violetto-rossastro del labbro inferiore o del glande; molte lesioni sono distribuite tra il palato duro e la faringe (Sehgal and Srivastava, 2009). Il coinvolgimento oculare si verifica nel 70% dei pazienti: sono stati riportati come sintomi oculari casi di irritazione oculare dolorosa, peggioramento della vista e secrezione mucosa, mentre i segni clinici possono includere erosioni congiuntivali, ispessimento del margine delle palpebre, erosioni corneali e congiuntivite pseudomembranosa (Broussard et al, 2016; Meyers et al, 1992).


Le lesioni cutanee si verificano ovunque sul corpo, soprattutto sul tronco, sulla testa, sul collo e sulle estremità prossimali (Anhalt, 2004) e sono molto variabili nell’aspetto, confondendo questa forma di pemfigo con altre forme di malattie della pelle quali il pemfigo volgare, l’eritema multiforme, il pemfigoide bolloso e il lichen planus. Si possono avere macchie rosse ed infiammate, placche squamose, bolle piene di liquido o lesioni ulcerative che possono provocare un intenso prurito (Nguyen et al, 2001; Sticherling and Erfurt-Berge, 2012; Yong et al, 2013).


Il pemfigo paraneoplastico fino al 93% dei casi colpisce anche l’epitelio del tratto respiratorio (Wade and Black, 2005), causando dispnea, malattia polmonare ostruttiva e bronchiolite obliterante, principale causa di morte in questi pazienti (Maldonado et al, 2009).


 

Eziopatogenesi del pemfigo paraneoplastico

 

L’84% dei casi di pemfigo paraneoplastico sono associati a neoplasia o disturbi ematologici. In letteratura sono riportati rari casi di associazione pemfigo paraneoplastico con tumori gastrici (Basir et al, 2015) o con l’assunzione di alcuni farmaci, tra cui fludarabina (Bazarbachi et al, 1995) e bendamustina (Higo et al, 2015). 


Sebbene la patogenesi del pemfigo paraneoplastico non sia ancora del tutto chiara, è stato dimostrato un ruolo chiave sia dell’immunità umorale che di quella cellulo-mediata (Anhalt et al, 1990; Sehgal and Srivastava, 2009): le immunoglobuline coinvolte sono principalmente della classe IgG, anche se in alcuni casi è stata segnalata la classe IgA (Taintor et al, 2007; Yashiro et al, 2013); l’immunità cellula-mediata, invece, vede il coinvolgimento di cellule T CD8+ (Reich et al, 1999). Nel pemfigo paraneoplastico l’attacco delle cellule B e T autoreattive causa il distacco dei cheratinociti tra loro con conseguente formazione della bolla. 


I bersagli più comuni degli autoanticorpi e delle cellule T appartengono alla famiglia delle plachine, in particolare: envoplachina (210 kDa), periplachina (190 kDa), desmoplachina I e II (250 e 210 kDa), plectina (500 kDa), il BP230 (230 kDa) (Kiyokawa et al, 1998; Oursler et al, 1992) e componenti dei desmosomi: desmogleina 1 (Dsg1) e 3 (Dsg3) (Amagai et al, 1998). Recenti lavori hanno dimostrato altri antigeni, quali la placofilina 3 e le desmocolline 1 e 3 (Lambert et al, 2010; Zimmermann et al, 2010). Un antigene estremamente riconosciuto dal siero dei pazienti affetti da pemfigo paraneoplastico è l’alfa2-macroglobulina-simil-1 (Numata et al, 2013). Si tratta di un inibitore di proteasi riconosciuto dagli autoanticorpi circolanti presenti nel 69% dei pazienti, il cui ruolo patogenetico è stato recentemente ipotizzato (Numata et al, 2013). Per spiegare l’associazione tra il pemfigo e la neoplasia sono state formulate due ipotesi: i) la prima per cui l’insorgenza del tumore induce una risposta immune che rivolgendosi verso antigeni epiteliali espressi dal tumore o antigeni tumorali cross-reattivi con antigeni epiteliali possa condurre ad una risposta autoimmune verso cute e mucose; ii) un’altra adatta a spiegare l’associazione con i tumori linfatici o sarcomi delle cellule dendritiche secondo la quale si può ipotizzare un ruolo delle cellule immuni direttamente coinvolte nella risposta autoreattiva.


 

Diagnosi del pemfigo paraneoplastico

 

La diagnosi clinica di pemfigo paraneoplastico è confermata tramite una biopsia cutanea che mostra acantolisi con cheratinociti necrotici, vacuolizzazione dello strato basale ed infiltrati infiammatori nel derma. L’immunofluorescenza diretta delle sezioni cutanee perilesionali mostra depositi lineari di IgG e/o del componente del complemento C3 nella giunzione tra cheratinociti e talvolta nella giunzione dermoepidermica. Possono essere anche presenti IgA e IgM. Nel caso in cui l’immunofluorescenza diretta risulti negativa si può ricorrere ad altre indagini diagnostiche (Joly et al, 2000). Altri approcci includono l’immunofluorescenza indiretta su esofago di scimmia che rivela un marcaggio a “rete da pesca” delle IgG circolanti. Inoltre per discriminare tra pemfigo e pemfigo paraneoplastico si può utilizzare l’immunofluorescenza indiretta su vescica di ratto. Si tratta di un epitelio di transizione che esprimendo le plachine, caratteristicamente riconosciute dal siero dei pazienti di pemfigo paraneoplastico, e non le desmogleine, riconosciute dal siero dei pazienti di pemfigo, permette di discriminare tra le due malattie. In questo contesto, l’identificazione di pazienti di pemfigo con anticorpi circolanti che reagiscono con le plachine è una osservazione che indebolisce la specificità del saggio (Cozzani et al, 2006). Possono essere condotti altri saggi di diagnostica avanzata in centri specializzati come: l’immunoprecipitazione su estratti di cheratinociti radiomarcati, l’immunoblotting per la ricerca di reattività verso le plachine. E’disponibile in commercio un saggio di immunoassorbimento legato ad enzima (ELISA) in grado di evidenziare reattività verso l’envoplachina, bersaglio antigenico del pemfigo paraneoplastico (Powell et al, 2015).


 

Trattamento del pemfigo paraneoplastico

 

Sebbene in letteratura vengano proposte diverse strategie terapeutiche, il pemfigo paraneoplastico è una delle forme di pemfigo più resistente alle cure mediche (Yong et al, 2013). In caso di sospetto di pemfigo paraneoplastico è consigliabile seguire le indicazioni suggerite da Frew e collaboratori per ottenere una migliore gestione del paziente. Queste includono: stabilizzazione dei parametri vitali che è importante per ridurre l’alto tasso di mortalità; valutazione di eventuali malignità sottostanti; accurata diagnosi; rimozione del tumore o terapia anti-tumorale specifica; trattamento farmacologico con immunosoppressori, immunomodulatori o plasmaferesi (Frew et al, 2011). Come terapia di prima linea sono utilizzati i corticosteroidi ad alto dosaggio efficaci per la cura delle lesioni cutanee, ma non sempre utili per la cura delle lesioni mucose (Martìnez De Pablo et al, 2005; Vezzoli et al, 2008). L’associazione tra prednisolone ed altri farmaci quali azatioprina, ciclosporina, micofenolato mofetile, ciclofosfamide, immunoglobuline per via endovenosa e plasmaferesi hanno dimostrato avere un buon profilo di efficacia e sicurezza (Gergely et al, 2003; Izaki et al, 1996).


In pazienti con pemfigo paraneoplastico causato da linfoma delle cellule B è stato segnalato essere efficace l’assunzione di rituximab, un anticorpo monoclonale anti-CD20 sia come monoterapia che in combinazione con corticosteroidi ed immunosoppressori (Frew et al, 2011; Hainsworth et al, 2000). Altri trattamenti sono solo di supporto: si raccomanda una terapia antimicrobica precoce a causa del rischio di sepsi conseguente alla perdita dell’integrità della pelle e all’immunosoppressione (Yong et al, 2013), ed una terapia antalgica che può risultare utile nel ridurre il dolore causato da estese erosioni.

 

 

Prognosi del pemfigo paraneoplastico

 

La prognosi del pemfigo paraneoplastico è spesso sfavorevole, con un alto tasso di mortalità. La morte è solitamente dovuta a complicazioni sistemiche, tra cui sepsi, sanguinamento gastrointestinale e bronchiolite obliterante (Vassileva et al, 2014; Yong et al, 2013); pertanto è fondamentale monitorare il paziente con attenzione e condurre un trattamento deciso e puntuale. 


È stato riportato che il pemfigo paraneoplastico e la neoplasia sottostante non hanno un'evoluzione parallela; le lesioni possono progredire dopo aver rimosso la neoplasia o quando quest’ultima è sotto controllo (Sehgal and Srivastava, 2009). D'altronde sono stati riportati casi di pemfigo paraneoplastico con malattia di Castleman in cui la rimozione del tumore ha portato ad un netto miglioramento clinico (Wang et al, 2004; Zhang et al, 2006).

 

 

Sperimentazioni cliniche di nuovi farmaci in corso per la cura del pemfigo paraneoplastico

 

 

Referenze

 

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